Nel maggio del 1958, Pier Paolo Pasolini, scrive sulle pagine di “Vie Nuove”:
«Ricordo che un giorno passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c’erano, davanti ai loro tuguri, a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni. Erano vestiti con degli stracci: uno addirittura con una pelliccetta trovata chissà dove come un piccolo selvaggio. Correvano qua e là, senza le regole di un giuoco qualsiasi: si muovevano, si agitavano come se fossero ciechi, in quei pochi metri quadrati dov’erano nati e dove erano sempre rimasti, senza conoscere altro del mondo se non la casettina dove dormivano e i due palmi di melma dove giocavano. […] La pura vitalità che è alla base di queste anime, vuol dire mescolanza di male allo stato puro e di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto».
Una descrizione quanto mai esaustiva, quella fatta da Pasolini, che con assoluta vividezza coglie la vera essenza del Mandrione, borgata della periferia romana, nota per essere stata una zona degradata della capitale, abitata da derelitti, meridionali emigrati, zingari e sfollati.
Con le sue baracche fatiscenti, il fango per le strade, i bagni di fortuna, le pessime condizioni igieniche e le grottesche persone che allora vi abitavano, il Mandrione tra gli anni ’50 e ’70 è diventato oggetto di interesse da parte di intellettuali e fotografi.
L’Italia è in pieno boom economico, le industrie del nord producono a ritmo serrato, nelle città si ridefiniscono gli spazi. I giovani si ritrovano nei bar a discutere dell’ultima partita di calcio, mentre il ciclismo inizia a vedere il suo inesorabile declino; nascono le prime piste da go-kart mentre il Piper e altri locali permettono a uomini e donne di ballare finalmente insieme.
Se questo accadeva per la nuova borghesia italiana, dall’altra parte vi erano gli ultimi residui di un’Italia che un tempo fu a vocazione agricola.
Collocata al limite della città, la campagna stava vivendo il suo canto del cigno e zone che prima erano adibite a pascolo, ora sono occupate da macchine e Vespe. Il cemento avanza verso l’esterno come lava incandescente che pian piano scende a valle dal crinale della montagna.
La trama è la stessa in tutte le città italiane, da Milano a Roma, e i risultati di questa drastica speculazione edilizia – descritta negli stessi anni da Italo Calvino – si vedrà in tutta la sua drammaticità nei decenni successivi.
Al Mandrione – il cui nome evoca l’antica usanza di portare nei prati le mandrie a pascolare – confluì tanta povera gente e soprattutto coloro che furono costretti a lasciare San Lorenzo dopo il bombardamento del 1943. Gli archi dell’acquedotto erano un ottimo rifugio per chi ormai non aveva più una casa, ne soldi per costruirla o comprarla. La strada non esisteva, solo terra e rifiuti, le baracche erano costruite con mezzi di fortuna e le condizioni igienico-sanitarie inesistenti.
Nonostante la riqualificazione del Mandrione fosse un argomento sempre in auge per la politica romana, in realtà si dovranno aspettare gli anni Settanta per vedere delle concrete politiche di riqualificazione urbana.
Importante fu il lavoro svolto da Angelina Linda Zammataro, psicologa e pedagogista, che intraprese un programma di sperimentazione per permettere l’integrazione degli zingari nella scuola ma fu anche merito delle moltissime inchieste pubblicate in questi anni da studiosi, giornalisti e fotografi.
La RAI produsse due documentari dal titolo Al margine e Essere zingari al Mandrione, di cui la stessa Zammataro fu autrice, mentre al Palazzo dei Congressi dell’Eur nel 1979 presentò la mostra “Crescere zingaro al Mandrione. Zingaro a tre anni”.
I fotografi italiani in questi anni iniziavano a porsi delle domande sul proprio ruolo e sull’uso dell’immagine, ma soprattutto iniziarono a voler dare delle risposte alla società.
Non più immagini di un mondo fiabesco, così come era stata raccontata l’Italia dai giornali a maggior tiratura, ma animati da un nuovo spirito di conoscenza e di giustizia, i fotografi, iniziano a credere fermamente che le cose potevano cambiare… e la fotografia era l’arma vincente.
E’ in questo contesto storico e culturale che viene realizzata l’inchiesta fotografica dall’antropologo Franco Cagnetta e dal fotografo Franco Pinna (1925-1978) al Mandrione.
Era l’aprile del 1956 e i due iniziano a interessarsi a questo mondo degli ultimi; dopotutto non erano i soli e fin da subito per la loro ricerca trovarono l’appoggio dell’editore Giangiacomo Feltrinelli.
Dalle musiche rom, i balli fino alla semplice quotidianità del vivere, ogni dettaglio è stato colto da Pinna: baracche, prostitute, interni di case, pasti frugali, orti, falò serali per strada, bambini sporchi di fango a piedi nudi sullo sterrato e vestiti con stracci. Questo era il Mandrione. Un’isola dimenticata, una terra di nessuno, un oblio di umanità che ora per la prima volta veniva scrutato con attenzione, non per essere commiserato o denigrato, ma per essere capito e spiegato.
Franco Pinna, nato a La Maddalena nel 1925 e morto a Roma 1978, è stato un grande fotogiornalista italiano, noto anche per aver partecipato come fotografo alla spedizione in Lucania con l’antropologo Ernesto De Martino e Franco Cagnetta.
Dopo un periodo di militanza nella Resistenza, costituisce insieme ad altri fotografi, la cooperativa Fotografi Associati, ispirata al modello dell’agenzia Magnum e collabora con numerose riviste d’epoca, sia italiane che straniere come Life, Stern, Sunday Times, Vogue, Paris Match.
Il suo primo libro fotografico è dedicato a La Sila ed è del 1959 con testi a cura di Ernesto De Martino, mentre nel 1961 esce Sardegna, una civiltà di pietra.
Dal 1965 diventa fotografo di scena per i film di Federico Fellini, tanto che nel 1977 verrà pubblicato il libro fotografico Fellini’s Film, contenente molte delle foto di Pinna ma il tempo è ormai poco e il fotografo muore il 2 aprile del 1978. Fellini fu proprio il primo amico a visitarne la salma.
Testi di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati Fotografia ©Franco Pinna
Bibliografia essenziale: R. Martinez e B. Campbell (a cura di), Franco Pinna, in I grandi fotografi, Milano, Fabbri Editori, 1982. F. Pinna, L'isola del rimorso : fotografie in Sardegna 1953-1967, Nuoro, Imago Multimedia, 2004. Catalogo scaricabile online. G. Pinna, Con gli occhi della memoria. La Lucania nelle fotografie di Franco Pinna 1952-1959, Trieste, Il Ramo d'Oro Editore, 2002. Pasolini e il Mandrione, borgata della miseria e dell’emarginazione.
Mostre: maggio a Franco Pinna. Fotografie 1944-1977. Mostra a cura dell'Istituto di Studi Scientifici sulFotogiornalismo / Archivio Franco Pinna. Con gli occhi della memoria. La Lucania nelle fotografie di Franco Pinna, allestita presso il Museo Provinciale di Potenza, dall'8/11/02- al 15/3/03.
2 Comments
Per quanto riguarda il Vs. articolo sulla storia del Mandrione ritengo opportuno segnalarVi quanto segue.
Nei primi anni della sua sperimentazione presso la scuola elementare “G. Cagliero” (dove ha insegnato dal 1969 al 1988) la dr.ssa Angelina Linda Zammataro (conosciuta all’epoca come Linda Fusco) dovette affrontare il problema dell’inserimento dei bambini zingari nelle classi ordinarie. L’impostazione del suo metodo pedagogico, basata sulla stretta connessione tra i tre elementi: Scuola – Famiglia – Territorio, la portò a prendere contatto con l’ambiente della vicina Via del Mandrione, nella quale da molti anni era stanziata una comunità di Rom italiani. Le inaccettabili condizioni di vita di queste persone erano già state segnalate da intellettuali come Pierpaolo Pasolini ed Elsa Morante e dal fotogiornalista Franco Pinna negli anni ’50 e ’60, senza che alla denuncia, tuttavia, seguissero interventi concreti: roulotte (senza ruote) e baracche immerse nel fango e prive di acqua, assenza di servizi igienici e sporcizia ovunque. Non era possibile pensare a un’integrazione dei bambini zingari nella scuola senza prima affrontare il grave problema della casa. La Zammataro diede così vita ad una lunga (e solitaria) iniziativa di carattere politico-culturale incentrata, innanzitutto, sulla sollecitazione nei membri della comunità Rom del Mandrione di una nuova consapevolezza circa il loro diritto a vivere in un ambiente dignitoso. Fu autrice per la Rai del film “Al margine” e del documentario “Essere zingari al Mandrione” (1976) nei quali, oltre alle umilianti condizioni dell’ambiente in cui vivevano i Rom del Mandrione, si denunciavano le enormi difficoltà che gli adulti incontravano nella ricerca di un lavoro e le forti resistenze della scuola “G. Cagliero” ad accogliere i loro bambini nelle classi. Inoltre, al Congresso Internazionale “Continente Infanzia” tenutosi al Palazzo dei Congressi dell’Eur nel 1979 presentò la mostra “Crescere zingaro al Mandrione. Zingaro a tre anni”. Grazie alla sua opera nel 1980-81 il Comune di Roma assegnò agli zingari (e agli altri baraccati non-zingari del Mandrione, che beneficiarono del progetto) delle case popolari situate nel quartiere di Spinaceto. Per evitare che altri senza-tetto potessero occuparle Linda Zammataro chiese al Comune di abbattere tutte le baracche presenti in Via del Mandrione e controllò personalmente che le ruspe portassero a termine l’operazione. Per un lungo periodo successivo all’assegnazione delle case popolari prese parte alle assemblee condominiali, al fine di favorire l’inserimento degli zingari nel tessuto sociale di Spinaceto. In alcune occasioni fu chiamata per risolvere questioni e liti che insorgevano tra gli ex baraccati non-zingari e i membri della comunità Rom. Gli ex baraccati, infatti, pur avendo condiviso con loro lo stesso ambiente degradato del Mandrione, vantavano nei confronti dei Rom una sprezzante, marcata superiorità sociale. Con l’abbattimento delle baracche prese avvio la fase di risanamento e riqualificazione di Via del Mandrione, che oggi è pienamente restituita alla vita civile della città.
Vi sarei grato pertanto se poteste aggiornare le informazioni contenute nell’articolo e sono a Vs. disposizione per ogni necessità di informazioni e approfondimenti a proposito di quanto fatto da Linda Zammataro per il risanamento del Mandrione e per i bambini della comunità Rom che vivevano nelle baracche di quell’area. Cordiali saluti
Buonasera Dott. Fusco,
il Suo commento, così esaustivo e importante, sarà visibile a tutti i lettori. La ringrazio personalmente per questo approfondimento puntuale, che leggo con grande curiosità e attenzione. Mi ero ripromessa di approfondire i documentari e non l’ho mai fatto, credo che per questo il suo testo sia importante e La ringrazio.