Adriano Fida, classe 1978, svolge un percorso artistico importante, che dalla scuola d’arte di Palmi, prosegue presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, per poi affidare la sua formazione artistica al maestro Silvano Gilardi in arte Abacuc. Da poco tempo il pittore ha raggiunto un altro importate traguardo venendo selezionato da Vittorio Sgarbi tra i cinque vincitori della mostra-concorso Expo arte italiana, con l’opera The sound of the soul. Ho incontrato il pittore calabrese per farci raccontare di più riguardo la sua opera.
Partiamo dalle origini. Nasci a Reggio Calabria e vivi a Rosarno, un paese purtroppo conosciuto per le storie non sempre felici di cronaca, ma sappiamo che Rosarno è molto altro, una terra antica e saggia che risale al periodo magno-greco. Il tempo dei miti e degli dei, elementi ben visibili – vuoi dagli elementi iconografici, vuoi dai titoli delle tue opere – nella tua arte. Qual’e il legame con il passato mitico della tua terra?
Anche se oggi vivo a Roma è naturale che io sia fortemente legato con la terra di Medma (antico nome di Rosarno). Sono cresciuto in una Rosarno difficile ma di terreno fertile, ricca di storia e di cultura, in cui proprio il periodo magno-greco ha favorito l’evoluzione del pensiero artistico-culturale della terra. Sono cresciuto ascoltando i racconti degli storici e degli appassionati del mio paese sulle divinità greche, il che mi ha permesso di portare quell’abbagliante patrimonio dentro la mia immaginazione fino ad oggi che ho effettivamente la possibilità di figurare con la pittura quei corpi prima immateriali.
Quale evoluzione ha subito la tua poetica e quali le nuove suggestioni artistiche ricevute in seguito al trasferimento a Roma?
A Roma mi sono avvicinato intorno ai 25 anni e trasferitomi definitivamente a 30. Come ogni città importante e imponente diventa anche invasiva intellettualmente e fisicamente, e in quanto tale mi ha donato la possibilità di aprire gli occhi sull’arte e sulla mia vita. Qui ho conosciuto molti artisti importanti del panorama artistico attuale, li seguivo da diversi anni tramite internet e riviste del settore e vedere le loro opere dal vero, insieme a quelle dei grandi maestri del passato, hanno giovato alla mia evoluzione di pensiero e gusto artistico, oltrepassando così certi canoni che in precedenza creavano limiti.
Garzone di bottega prima, ora maestro nella tua scuola romana di recentemente apertura. Spiegaci qualcosa in più su questa tua nuova esperienza…
Vero! Prima allievo del maestro Gilardi nella sua bottega di Affresco in provincia di Torino (a lui devo tanto e lo omaggerò a vita), ora la mia scuola di pittura romana dove insegno ricette e metodi dell’arte antica, da quella fiamminga a quella preraffaellita avvicinandomi all’iperrealismo. Negli anni è diventata una vera bottega, una fucina d’arte quasi d’altri tempi, dove crescono nuovi artisti tramite i miei insegnamenti. In molti mi chiedono perché lo faccio, consigliandomi di seguire il banale concetto, «ama l’arte e mettila da parte», ma per me non è così! La condivisione non deve fermarsi ai social, condividere è sinonimo di divulgare, di tener in vita e se dovessimo pensarla diversamente tutto potrebbe prima o poi morire. Nell’arte dei miei allievi vive una parte del mio sapere che spero tramanderanno a loro volta. Ecco perché preferisco il detto «finché c’è memoria c’è vita».
Teschi e frutta sono elementi quasi sempre presenti nelle tue opere, simbolo per eccellenza del memento mori. Come affronti la diade morte/vita nella tua arte e di conseguenza nella tua intimità?
Sono considerato un pittore figurativo simbolista, adoro i simboli e il loro sussurrato messaggio. Credo che il concetto della Vanitas, in quanto ammonimento alla caducità dell’esistenza umana, sia il massimo ideale. Rifletto sempre sulla vita e sulla morte e comunemente si pensa la vita come amore e la morte come dolore, ma io preferisco rispondere con una mia tela che rappresenta Eros e Thanatos, riferendomi anche alla teoria di Freud e all’innato istinto di vivere e morire che diventa lo scopo della vita stessa, lo stimolo per eccellenza. L’anima di ognuno di noi è retta dall’equilibro che queste due forze raggiungono e la molteplicità dei comportamenti è data dalle varie possibilità di svolta che l’uomo ha per risolvere una situazione.
Abbiamo già accennato alla tela The sound of the soul – attualmente esposta a Villa Bagatti Valsecchi. A mio avviso l’opera già dal titolo denota una vasta profondità concettuale, con un preciso rimando all’immensità del proprio essere. Mi piacerebbe un tuo pensiero rispetto a quest’opera…
Esatto. The sound of the soul è una tela molto intima che mi riporta a quando ero fanciullo e ascoltavo il suono del mare all’interno di una conchiglia. In quel momento magico potevi essere anche sulle Alpi ma riuscivi a vedere il tuo mare, quello dove ti divertivi con la tua famiglia e che tanto vorresti rivivere. Un momento di felice malinconia che tieni per te e che non racconti facilmente perché ne sei geloso e si ha la paura di essere banalizzati e deturpare quella fantastica immagine. Ecco The sound of the soul letteralmente è il suono dell’anima, invita a guardare dentro ognuno di noi, in un intenso percorso spirituale ed emotivo, con l’intento di tirar fuori la vera immagine del proprio essere, così come ci riesce una conchiglia nella visione del proprio mare.
Questa immagine è diventata l’artwork dell’album degli Oblomov – duo di base a Bologna composto da Ilja llic e Zachar – potresti raccontarci come nasce questa collaborazione?
Gli Oblomov sono fantastici, hanno dato voce e musica alle mie tele e non solo! Nel progetto c’è un altro grande artista di fama internazionale, Flavio Sciolè, regista, attore, performer e tanto altro, il quale ha creato i video degli Oblomov, trasmessi durante i loro live a ciclo continuo su un vecchio televisore. I video li porterò anche nelle mie mostre future. Con Ilja llic e Zachar ci siamo conosciuti in un mio viaggio in Russia all’entrata di un mostra, parlavano l’italiano a sufficienza per essere compresi, da lì ci siamo spostati per bere una vodka. Sai, una delle prime domande per rompere il ghiaccio è «cosa fai nella vita?», ed è da questa semplice domanda che nasce tutto.
Se ti chiedessi di citare un verso delle loro canzoni che ti ha particolarmente colpito?
Tra i testi ci sono frasi scritte in precedenza da me per le mie tele e da questo hanno tratto grande ispirazione. Ne riporto un paio: in The sound of the soul dice «le anime fluiscono nella pietra eternamente nera come l’aurea scia di una stella che nel cadere si spegne nel nulla», mentre in Sirene in burlesque «nonostante conosca la mia fine mi farò trascinare da quel soave canto», qui ritorna il concetto della Vanitas. Poi ce ne sono tante altre ma riempirei la pagina.
Potresti darci un’anticipazione sulle tue prossime mostre e sugli eventi a cui parteciperai?
Ho da poco terminato una mia personale qui a Roma dal nome Pyros e qualche giorno fa ho avuto la conferma dal mio curatore Marco Dionisi per la prossima personale a Palazzo Flangini a Venezia nel mese di Marzo. So che si sta lavorando per una futura esposizione al MACRO di Roma, poi Milano, Berlino, Pechino e New York (ancora devono uscire le date certe), il programma prevede un percorso molto impegnativo con possibili mostre collaterali.
Testo a cura di Claudia Stritof e pubblicato sulla rivista aARTic (19 marzo 2016).
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Da quando abbiamo fatto l’intervista Adriano non si è fermato un attimo e dal 2 al 30 aprile sarà in mostra a Palazzo Flagini di Venezia, con l’esposizione dal titolo “MYTHOMORPHOSIS” di ADRIANO FIDA.
Inoltre è uscito il volume The Art in Monography, Vol XVI – Adriano Fida, edito da BlackWolf Edition-Publishing.
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