Dolce e amaro al tempo stesso, rosso come l’amore servito con una fettina d’arancia e senza cannuccia. Un equilibrio perfetto di semplicità: questo è il Negroni! Tre ingredienti miscelati in parti uguali: Vermut rosso, bitter Campari e Gin. Sembrerebbe la cosa più semplice del mondo e invece… molto spesso il Negroni è imbevibile.
Per chi come me è cresciuto al Blue Dahlia di Marina di Gioiosa Ionica (R.C), avrà sicuramente una venerazione verso il Negroni di Ruggero, estate o inverno che sia è sempre una certezza. Non tutti però conoscono la vera storia del cocktail e finalmente un libro fa chiarezza sulla sua nascita: Negroni cocktail. Una leggenda italiana, scritto da Luca Picchi ed edito da Giunti Editore.
L’autore, che con dovizia di particolari racconta la nascita dell’aristocratico cocktail, scrive: «sorseggiare un Negroni invita a socializzare, avvicina la gente, ci trasporta con un’area nobile e un po’ misteriosa, al tempo che fu», quello della Firenze di primo Novecento, nei suoi numerosi caffè frequentati da letterati e artisti. Una città viva e in pieno fermento politico e culturale abitata da bottegai, viaggiatori, politici e aristocratici che passeggiavano gli uni accanto agli altri per le storiche vie del centro.
Il Negroni nasce tra il 1919 e il 1920 in via de’ Tornabuoni al Caffè Casoni di Firenze grazie all’amicizia che lega il conte Camillo Negroni e il barman Fosco Scarselli.
Cammillo Luigi Manfredo Maria Negroni è stato un uomo dalle mille vite e dai molti interessi: nato il 25 maggio 1868 dal conte Enrico Negroni e da Ada Bishop Savage Landor (a sua volta figlia dello scrittore anglosassone Walter Savage Landor, sepolto in quel bellissimo luogo che è il Cimitero degli Inglesi a Firenze), rimane orfano di padre molto presto e già a sedici anni è iscritto all’Accademia Militare di Modena. La madre nel frattempo si risposa con il marchese Paul de Teurenne, trasferendosi in una villa presso Scandicci e al suo ritorno da Modena il clima familiare non è più lo stesso. A causa delle numerose incomprensioni con la madre e il patrigno, il conte decide di andare negli Stati Uniti assecondando il proprio spirito cosmopolita e girovago.
Nel 1887 il conte Negroni appassionato di cavalli diventa cowboy tra le praterie del Wyoming e il Canada, successivamente si trasferisce a New York, dove frequenta ambienti esclusivi e ricevimenti importanti, da vero dandy quale il conte era. Trascorre sette anni nella Grande Mela, assaporando la vera essenza di quella che è stata definita la Golden age of cocktails, infatti qui apprezza e conosce i drink più amati dell’epoca. Sempre in questo ambiente vivace alla socializzazione e dedito alla bella vita apre una scuola di scherma e infine conosce Anta Zazworka, donna che lo accompagnerà e lo seguirà nei suoi numerosi viaggi, fino a quando nel 1912 i due decidono di vivere stabilmente nella natia Firenze.
Il conte avvolto dal fumo della sua immancabile sigaretta e cilindro sul capo, ogni sera prima di recarsi al Grand Hotel di Firenze, oggi St. Regis, per intrattenersi con la buona società fiorentina e internazionale, si recava al Caffè di Gaetano Casoni per deliziare il proprio palato con i cocktail serviti dall’amico e barista Fosco Bruno Sabatino Scarselli, il quale aveva iniziato a lavorare al caffè subito dopo la Prima Guerra Mondiale. Si racconta che Scarselli fosse il bartender perfetto: colto, socievole, attento ai gusti e alla personalità del cliente ma anche educato ed elegante, così come gentile ed umano era il conte, «forse un po’ snob e garbatamente spavaldo, ma sempre disponibile all’amicizia. Amante del rischio, non badava al domani prima di aver vissuto intensamente l’oggi».
Un giorno il conte chiese a Fosco di irrobustire il suo solito Americano con il Gin e fu in quel fatidico momento che vedeva la luce il primo Negroni, diventando in poco tempo il drink per eccellenza a Firenze per poi sconfinare in tutto il mondo. Il conte era devoto al suo cocktail e si racconta che in un giorno ne riuscisse a bere quaranta senza mai cedere in preda ai fumi dell’alcol, ma questo probabilmente perché i primi Negroni non venivano fatti nei classici tambler ma negli stretti calici da cordiale, allora molto in voga, come è ben rappresentato nei manifesti di inizio Novecento dall’artista Marcello Dudovich.
Una piccola, ma fondamentale, variante apportata alla tradizione ha tramutato il solito cocktail nel famoso Americano alla maniera del conte Negroni. Un cocktail che a distanza di quasi un secolo continua a deliziare i palati dei più temerari. Si sa, il Negroni lo si ama o si odia, non ci sono mezze misure, tre ingredienti che nella loro semplicità «creano una melodia che accarezza tutti i sensi […] ristora e rinfresca il corpo e la mente».
Testo ©Claudia Stritof. All rights reserved.
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