Vi racconto una storia: quella del paese Nocera Terinese e dei suoi abitanti.
Il piccolo borgo, situato in provincia di Catanzaro, è circondato da monti aguzzi lussureggianti di verde, quello dei suoi alberi e dei suoi rovi; mentre, qui e lì, si vedono pascoli di pecore e contadini.
Un borghetto ben curato, i cui abitanti sono ospitali e molto gentili, come spesso accade nei paesini dell’entroterra calabrese, che hanno fatto della loro cultura ancestrale un punto di forza.
A Nocera Terinese, durante la Settimana Santa, qualcosa accade perché le sue stradine si animano grazie alla presenza di “fuori sede” tornati a casa per le vacanze, di turisti e fotografi, che giungono da ogni dove per ammirare il famosissimo rito dei “vattienti” (i flagellanti), che – con il loro sangue – tingono il paese di color rubino.
Appena si giunge a Nocera si ode dapprima il vociare dei fedeli e subito tra la folla appare la bellissima statua della Madonna con il Cristo portata a spalla dai membri della Confraternita, tutti vestiti di bianco e con il capo adorno da un serto. Con grande devozione e come sempre avviene durante le feste di paese, i confratelli fanno sfilare la Madonna per le stradine inerpicate del paese, procedendo con un andamento lento e posato, fermandosi di tanto in tanto per benedire gli abitanti, la cui devozione si scorge nel movimento incessante delle labbra bisbiglianti e dalle mani portate al petto, sulle spalle e alla fronte.
In quella che potrebbe sembrare una normale processione pasquale, ecco spuntare all’improvviso il primo vattente.
Esce dal portone della propria casa, con al seguito la madre che con occhi ricchi d’amore, guarda il proprio figlio allontanarsi e iniziare il suo calvario.
L’uomo è vestito con una maglietta nera e con un pantaloncino della stessa tinta arrotolato al pube, porta in testa un panno tenuto da una pesante corona di spine, in una mano porta il “cardo”, un disco di sughero su cui sono fissate con uno strato di cera tredici schegge di vetro appuntite, volte a simboleggiare i dodici Apostoli e la figura di Cristo; infatti le punte sono di tute di egual altezza, fatta eccezione di una, più acuminata, volendo alludere al tradimento di Giuda.
Nell’altra il vattente mantiene in mano la “rosa”, un secondo disco di sughero liscio con cui percuote le gambe. Esso è legato con un laccio a un giovane, trasfigurazione dell’Ecce Homo, proprio per sottolineare l’unitarietà delle due figure, ruolo solitamente ricoperto da un bambino con petto nudo e avvolto dalla vita in giù da un panno rosso che porta in braccio una croce rivestita da un nastro rosso e sul capo un serto.
Accanto a queste due figure vi è un terzo uomo, di solito un parente o un amico che versa sulle gambe del vattente un infuso di vino e aceto per disinfettare le ferite e prevenire la formazione di croste.
Il suono del cardo percosso sulla carne è netto e deciso, seguito subito dopo da rivoli di sangue che creano una pozza rossa ai piedi del vattente mentre i muscoli vibrano visibilmente per la tensione.
Senza che si possa prendere un attimo di respiro, in quest’atmosfera mistica e ancestrale, subito dopo si ode lo sfregare della rosa passata sulla gamba, il vino scivolare sulle gambe e ricadere sul lastricato e di nuovo il suono del cardo, della rosa e del vino… interrotto solo dall”inchino alla Madonna, per poi proseguire nella veloce corsa verso le diverse stazioni religiose del paese.
Mentre la Madonna prosegue il suo percorso, noi decidiamo di fare un giro per le stradine del paese e arriviamo alla grande piazza che è colma di sangue secco sulle pareti, sul lastricato e sulle scale.
Visitiamo la bellissima chiesa del paese, ma a un certo il suono del cardo sulla carne richiama nuovamente la nostra attenzione.
Usciamo di corsa e questa volta i vattienti sono tre, tutti piuttosto giovani; dopo aver impresso il loro “marchio” sulla chiesa, riprendono la corsa incessante, mentre le impronte dei piedi nudi sull’asfalto tradiscono la loro direzione.
Nel momento in cui i confratelli riportano la statua della Madonna all’interno della chiesa, un grande applauso risuona per le stradine del borgo, mentre i vattienti sono ormai rientrati in casa, dove ad attenderli sono le madri, le mogli e le famiglie , che nel frattempo hanno preparato un infuso caldo con rosmarino che lava la carne flagellata e cicatrizza i minuscoli fori sulla carne.
Finisce così la mia visita a Nocera Terinese e il mio viaggio in questa antica tradizione. Un avvenimento di forte impatto emotivo e spirituale, tanto che alla visione del primo vattente, non riuscì a scattare nemmeno una fotografia visto lo scorrere copioso del sangue sulle loro gambe, come se all’improvviso fossi stata trasportata nel Medioevo a mia insaputa; ma una volta realizzato ciò che stava accadendo è stato un momento unico ed emozionante.
Sono stata percorsa da un brivido, cercando di comprende sempre più affondo il motivo di tale flagellazione e di questo male auto-inflitto, ma poi capisci che ciò a cui stai assistendo, non è una finzione scenica, ma l’autenticità di un sentimento, quello religioso dei devoti, che comprensibile o meno che sia, adempiono ad un voto fatto per ottenere una grazia o perché già ottenuta.
Questa è la storia di antichi riti e credenza ancestrali, avvolte da un’aurea mistica che oscilla tra sacro e profano, così come diverse sono le teorie sull’origine del rito.
Storie di vita paesana e di riti popolari che continuano a vivere in un piccolo paesino calabrese, da visitare e condividere con i suoi abitanti, i noceresi, che di storie e leggende ne hanno da raccontare.
Testo e immagini ©Claudia Stritof. All rights reserved. Articolo scritto in data 7/04/2015. Revisione del 2/04/2021.
6 Comments
Racconto incredibile. Avevo sentito di questa storia in TV. Ora con le tue parole e immagini son riuscito ad immergermi in quella “scenografia”….. Veramente incredibile!
Grazie!
Si, Max. E’ veramente incredibile. Quest’anno sarei dovuta tornare, ma purtroppo non posso, basta una volta per innamorarsi del luogo e delle persone. Grazie a questo scritto, e andando lì prima, ho conosciuto delle persone meravigliose, pronte ad aprirsi con te senza chiedere nulla in cambio, pronte a condividere un aspetto della propria intimità interiore con il cuore in mano. Se un giorno ti dovesse capitare, vai a Nocera, è un paese umile ma ricco di racconti. Un abbraccio
Certo Sasi… viaggio e scritto a quattro mani… lo sai, volentieri, sempre se non sei in giro per il mondo 😀 Un bacio
non avevo idea di questo rito, così vicino a noi. Lo racconti in modo stupendo Claudia, le tradizioni e le credenze sono così radicate nella nostra terra e io spero davvero non muoiano mai…
Ti abbraccio forte**
Grazie Sasina, se non sbaglio all’epoca delle elementari si studiavano in questo periodo, ma poi le cose si dimenticano. Era da molti anni che volevo andare, ed è stato bello. Pensavo fosse una tradizione un po’ “commercializzata” e invece mi sono totalmente ricreduta. E’ stata proprio una bella esperienza, da ripetere il prossimo anno. Per quanto possano essere “primitive” sono vive e forti, affascinanti e vissute con genuinità. Un bacione Sasi.
Spero davvero di andarci il prossimo anno allora… magari ci si torna insieme 🙂 un bacione!