Era il 2019 quando, nelle sale di Palazzo Pallavicini a Bologna, inauguravamo la mostra Surrealist Lee Miller, una delle figure più affascinanti e misteriose del Novecento; modella di straordinaria bellezza, cuoca estrosa, impavida corrispondente di guerra ma soprattuto fotografa di eccelsa bravura.
In quell’anno, parlando con Vittoria e Maurizio, della ONO Arte Contemporanea di Bologna e l’archivio Lee Miller, decidemmo di portare la mostra in Italia, non sapendo effettivamente se saremmo riusciti a trovare un luogo adatto.
Ci provammo e, dopo tanto cercare, il sogno si realizzò!
Lee Miller nasce a Poughkeepsie, nello Stato di New York, il 23 aprile 1907, da Florence e Theodore, un personaggio eccentrico, da cui Lee apprende l’amore per la tecnologia, la caparbietà nel portare avanti i propri progetti e l’amore per la fotografia.
Lee era una ragazza dalla bellezza eterea, ma a renderla veramente irresistibile era l’aura che emanava la sua personalità ribelle, che alle bambole preferiva i giochi pericolosi in giardino e armeggiare nel suo piccolo laboratorio chimico.
La sua infanzia non fu spensierata, infatti, all’età di sette anni venne violentata da un amico di famiglia, il che comportò in lei un profondo turbamento psicologico aggravato dal contagio di una malattia venerea.
I genitori, per alleviare il dolore della figlia, accontentarono ogni sua richiesta, libertà che rese la già intraprendete Lee, ancor più sfrontata e dopo l’ennesima espulsione dal liceo, il padre fu costretto a mandarla a Parigi nel 1925, dove si iscrisse a una scuola di teatro che abbandonò subito dopo per vivere da bohémien.
Theodore, preoccupato, la riporta in America dove Lee si iscrive nel 1926 all’Art Students League di New York, ma un avvenimento fortuito sta per cambiare drasticamente i suoi piani.
È il 1927, Lee Miller sta per attraversare una delle strade di New York e rischia di essere investita da un auto, se non fosse che Condé Nast – proprietario di “Vogue” e “Vanity Fair” – prontamente la afferra e la salva.
Lei per lo spavento balbetta qualcosa in francese e lui rimane colpito dalla giovane fanciulla dall’abbigliamento europeo; così nel marzo dello stesso anno il volto di Lee Miller viene utilizzato per illustrare un’ormai storica copertina di “Vogue” disegnata da Georges Lepape. Lee diventa il nuovo volto della società moderna e incarnazione della new woman.
Era innamorata della mondanità di New York, ma la vita parigina le mancava e decide di andare a Parigi.
Lee Miller appena arriva in città si reca nello studio di Man Ray, ma la portinaia la avverte che l’artista è appena partito per Biarritz e che farà ritorno solo tra un mese. Sconvolta dalla notizia Lee si reca in un caffè poco distante per bere un Pernod con molto ghiaccio, ma qualcosa accade: ecco Man Ray!
Inizia l’avventura surrealista di Lee Miller, che non solo diventa modella e musa ispiratrice di Man Ray, ma instaura con lui un profondo sodalizio artistico, che li porterà a realizzare insieme tra le più belle fotografie dell’epoca e fare importanti scoperte tecniche come la solarizzazione.
Lo stile della giovane Lee in poco tempo si fa tecnicamente maturo e concettualmente sofisticato grazie alle molte influenze che riceve in questo straordinario periodo della sua vita.
Apre uno studio a Montparnasse nel 1930, da subito frequentato da una ricca clientela internazionale, che della sua collaborazione si avvalgono per realizzare fotografie commerciali, anche se il nucleo più importante di opere in è certamente quello rappresentato dalle immagini surrealiste, divertenti, misteriose e inquietanti.
Nel 1932 si trasferisce a New York per iniziare una nuova avventura e aprire uno studio fotografico, che ha un grande successo e lavora a ritmi serrati, dapprima dedicandosi ai lavori commerciali, per giungere solo in un secondo momento alla ritrattistica.
Lee Miller, essendo di natura inquieta ed estremamente esuberante, perde molto presto di interesse verso la vita newyorchese e, caso volle, che un giorno giungesse in città l’imprenditore egiziano Aziz Eloui Bey, conosciuto qualche tempo prima a Parigi grazie all’amica Tanja Ramm.
Lee e Aziz passano giorni intensi insieme nella tenuta di famiglia e un giorno Lee chiama la madre inaspettatamente e le dice: «stamattina ci siamo sposati!».
È il 19 luglio del 1934 e Lee si trasferisce al Cairo per vivere il suo idillio d’amore, anche se dopo un anno di permanenza inizia a emergere in lei una sensazione di inquietudine e insoddisfazione personale, che la spinge a partire verso Parigi.
La stessa sera del suo arrivo, va a un ballo surrealista dove incontra gli amici di vecchia data che, appena la vedono, le corrono incontro rimproverandola per essere sparita per cinque lunghi anni.
Durante questa stessa festa rivede anche Julian Levy, gallerista newyorchese da cui Lee aveva esposto le proprie fotografie, e fu lui a presentargli Roland Penrose, collezionista d’arte con cui subito scocca il fatidico coup de foudre!
Qualcosa è cambiato in lei dopo aver riassaporato la vita spensierata di Parigi e anche Aziz se ne accorge.
Lee scappa dall’Egitto con l’intenzione di intraprendere un lungo viaggio insieme a Roland Penrose, ma la situazione precipita velocemente a causa dell’invasione della Polonia da parte di Hitler.
Tornati a Londra, lui viene incaricato di tenere lezioni sulle tecniche di mimetizzazione, mentre Lee lavora come fotografa per “Vogue”, all’epoca diretta dal fotografo Cecil Beaton, il quale inizialmente rifiuta il suo aiuto, ma che accetta all’indomani dello scoppio della guerra, dato che la maggior parte dei fotografi furono costretti ad arruolarsi.
Lee Miller dopo un anno fa richiesta di accreditamento alle forze armate Usa come corrispondente di guerra, attività suggeritagli dal nuovo fotografo di “Life”, David E. Scherman, suo grande amico, amante e compagno di viaggio per tutti gli anni dei tragici combattimenti.
I primi servizi di Lee sono dedicati alle protagoniste silenziose della guerra, le donne e al ruolo, anche se a queste immagini continua ad alternare quelle realizzate per la moda, che a queste date ambienta tra le macerie londinesi.
Sei settimane dopo il D-Day, va in Normandia per documentare il lavoro delle infermiere negli ospedali di prima linea; tornata in agosto a Londra, s’imbarca con la US Navy perché incaricata di raggiungere Saint-Malo per fotografare la fine dei combattimenti nella città, ma contrariamente alle notizie ricevute, la guerra non era finita e Lee è l’unica inviata sul posto.
Era una donna forte e coraggiosa, condivideva le razioni di cibo con i militari, recuperava i feriti sul campo di battaglia e fotografava i primi attacchi con le bombe a napalm, ma poco dopo la resa dei tedeschi, venne scoperta da un ufficiale in zone di guerra a lei interdette, violazione che le procurò un arresto immediato.
Terminato il periodo di reclusione, Lee arriva a Parigi il giorno della Liberazione ma il peggio doveva ancora avvenire, perché inizia per lei e Scherman un periodo di incessanti spostamenti che li porterà fino in Germania.
Lee decide di accreditarsi con l’Us Air Force e attraversa la Francia per partire alla volta di Torgau in Germania, per poi fermarsi a Norimberga, dove scopre che la Rainbow Company sarebbe entrata nel campo di concentramento di Dachau.
I due fotografi, Miller e Scherman, furono tra i primi ad accedere all’area e Lee rimase incredula per ciò che stava vedendo: l’odore era nauseabondo, le cataste di corpi erano innumerevoli, i moribondi giacevano disperati in pozze di vomito ed escrementi, mentre alcune SS erano state linciate dai prigionieri.
Di fronte a tale orrore la verità non poteva più essere celata e Lee sentì l’esigenza di raccontare ciò che aveva visto senza mezzi termini.
Lee e David alloggiarono anche a Monaco, luogo dove viene scattata quella che è una delle fotografie più conosciute di Lee Miller: lei nuda nella vasca da bagno appartenuta al Führer, mentre il giorno seguente i due fotografi partono verso Salisburgo, per seguire l’attacco dell’inespugnabile chalet appartenuto Hitler, fino a che non giunge la notizia ufficiale: la guerra è finita!
Tornata a Parigi Lee Miller ha un grave crollo psicologico dettato anche dall’uso che faceva di amfetamina, alcol e sonniferi ma, nonostante ciò, continua a viaggiare senza tregua.
La fine della guerra fu un momento di amara disillusione per Lee Miller, la quale si rese conto che il mondo era ancora dominato dall’interesse personale di criminali e politici corrotti. Ormai tutto le sembrava inutile.
Emotivamente fragile e fisicamente sfinita, torna a Londra e nell’estate del 1946 intraprende un viaggio con Roland in America.
È un periodo molto felice: Roland acquista una nuova casa in campagna, Farley Farm, che diventa meta prediletta di artisti, critici e letterati, oltre a ospitare la sua ricca collezione d’arte contemporanea; nasce Anthony e Lee dedica sempre più tempo alla casa e al giardino.
I servizi per “Vogue” si fanno sporadici e la cucina diventa la nuova passione di Lee, tanto da venir riconosciuta come cuoca a livello internazionale.
Le uniche fotografie che scatta in questo periodo sono i ritratti degli amici impegnati in stravaganti attività a Farley Farm, una ricca collezione di immagini che sarà pubblicata su “Vogue” nel 1953 con il titolo Working Guests, l’ultimo articolo della carriera da giornalista di Lee Miller.
Dal 1955 Lee subisce un grave turbamento psico-fisico: non si piace più, veste in modo sciatto e il whisky è la sua sola consolazione, inoltre Roland è sempre più impegnato a fondare l’Institute of Contemporary Arts ed è per giunta innamorato di una nuova compagna.
I tempi in cui Lee scattava penetranti fotografie sono ormai lontani e una sera mentre era a cena con l’amica Tanja Ramm le confessa: «mi hanno appena detto che ho il cancro. Non ho voglia di parlarne, ma so che non durerà a lungo».
Il declino fu veloce, Roland non la lasciò mai da sola e fu tra le sue braccia che Lee Miller morì il 21 luglio 1977.
Si chiude così il racconto su Lee Miller, una donna e artista che ha vissuto la sua vita vissuta sempre al massimo grado di intensità, in perenne ricerca di se stessa e delle infinite occasioni che l’esistenza poteva offrirle.
È difficile raccontare una donna di tale caratura ma a emergere è sempre la sua duplice natura: donna ironica e divertente e fotografa empatica e rispettosa del dolore altrui, qualità umane che le hanno permesso di cogliere con grande sensibilità gli eventi più tragici del XX secolo.
Testi estrapolati dalla mostra "Surrealist Lee Miller" (Palazzo Pallavicini, Bologna, 2019 ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati
Archivio Lee Miller
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