La Grande Madre è frutto di una riflessione intorno al concetto di donna intesa come entità creatrice e trasformatrice che dall’antichità, fino a oggi è stata venerata in molte culture in quanto fonte di vita e mediatrice con il divino.
Un giorno ero in visita alla Raccolta Lercaro di Bologna, dove sono conservate molte opere di eccelsa bellezza e grande profondità concettuale.
In questa giornata, dedicata alla festa della mamma, ho deciso di ripercorrere con la mente una visita svolta ormai molto tempo fa e fare il mio augurio attraverso l’arte.
Nellasala vi erano due opere di Eugenio Pellini La madre del 1897 e L’idolo del 1906, a cui si aggiunge una bellissima scultura di Jean Michel Folon, Femme-oiseau del 2002, collocata nella sala dedicata ai reperti fossili in virtù del suo materiale: pietra fossile del Marocco.
Da quel momento, osservando attentamente le tre figure di donna, ho iniziato a riflettere sull’aspetto spirituale che le tre opere sembravano esprimere, anche attraverso i loro titoli.
Inizialmente a colpirmi è stata la cromia dell’opera di Folon, seguita subito dopo dalla consapevolezza che le tre sculture rappresentassero tre diverse visioni di donna colte con una posizione delle braccia, atte a stringere il bambino nelle sculture di Pellini, e il grembo nella scultura di Folon.
La distanza concettuale e cronologica trasmessami dalle tre opere è stata colmata quando ho visto nelle pagine della biografia di Alberto Giacometti, la meravigliose scultura Femme qui marche.
È stato in questo preciso momento che ho notato come le sculture disposte in sequenza facessero emergere un ragionamento sulla forma femminile e sulla sua progressiva astrazione.
A questo punto le mie riflessioni sono sorte spontanee e tutte convergevano sull’idea de La Grande Dea, divinità primordiale che incarna il ciclo della vita.
Giunta a casa, iniziai a scrivere questo testo, accostando la riflessione, alla lettura di alcuni testi critico-letterari da cui estrapolai citazioni per potenziare il significato concettuale della mia riflessione.
Si sono dimostrate fondamentali per legare e rendere esplicito il significato della sequenza dando così una lettura nuova all’insieme e anche alle singole opere.
Apuleio ne L’Asino d’oro, racconto come la Dea, rivolgendosi allo sventurato Lucio, disse: «io sono colei che è la madre naturale di tutte le cose, signora e reggitrice di tutti gli elementi, la progenie iniziale dei mondi, il culmine dei poteri divini, regina di tutti coloro che popolano gli inferi […] Il mio nome, la mia divinità sono adorati ovunque nel mondo, in diversi modi, con svariate usanze e con molti epiteti».
La Dea rappresenta la fertilità, intesa nella duplice accezione, materna e sensuale: nuda e in piedi simboleggia la sensualità, mentre seduta è simbolo di protezione e nutrimento.
«Come madre e signora della terra, la Grande Madre è il “trono in sé” […] su cui il bambino, nato da questo grembo siede in torno. Essere preso in grembo, così come essere portato al petto è un modo simbolico per esprimere l’adozione del bambino, e dell’uomo, da parte del femminile», ed è così che essa è raffigurata da Pellini nelle sculture La Madre e L’Idolo.
A sottolineare questa varietà è proprio Mefistofele, che nel primo atto della seconda parte del testo goethiano, racconta al Faust di un luogo in cui «vi sono auguste dive il cui regno è la solitudine; intorno ad esse non v’è né spazio né tempo, e non si può parlare di esse senza sentirsi turbati. Sono le Madri […] Le une sedute, altre in piedi e vaganti così come si trovano. Forme, continuo cambiamento di forma, eterna presenza del senso eterno! Immagini di tutte le creature…».
Il testo rende esplicito il polimorfismo della Grande Dea, dalle forme umane ma anche astratte, così come appare nelle sculture ieratiche di Giacometti sopracitata, divinità acefale la cui femminilità è visibile solo grazie all’enfatizzazione posta sugli organi sessuali.
La vulva così come «i seni minuscoli, appena accennati rafforzano la tendenza, inconscia, a trascendere la dimensione corporea elementare. Diviene particolarmente evidente il momento dell’astrazione, attraverso il quale si accentua il carattere significativo, simbolico, trasformatore del femminile […] Una dea raffigurata in tal modo non rappresenta solo una dea della fertilità, ma anche una dea della morte e dei morti. Essa è la madre terra, la madre della vita, che domina su tutto ciò che è scaturito e nato da lei e che ritorna a lei».
Ed ecco che la scultura Femme-oiseau di Folon chiude il cerchio: una dea maestosa con le braccia incrociate sotto il petto a mettere in evidenza i piccoli seni, la quale, vista frontalmente è una statua votiva di dea primigenia, come quelle che un tempo venivano custodite all’interno delle celle degli antichi templi, ma se vista lateralmente manifesta il suo aspetto mostruoso con la testa di uccello con piccoli occhi neri incavati e il becco rivolto al cielo. La Dea così rappresentata nell’antichità era la mediatrice tra cielo e terra, colei che trasportava le anime dei defunti e le proteggeva vegliando in solitudine negli inferi.
Siamo giunti alla fine di un percorso lungo e non poco travagliato ma che ha portato sicuramente ad una nuova riflessione intorno al concetto di madre.
Se all’inizio mi era sembrato impossibile legare concettualmente e formalmente opere così diverse, oggi La Grande Dea ha assunto la sua forma definitiva, trovando nel mutamento della forma la chiave di volta per comprendere secoli di letture iconografiche sul tema della divinità e della Madre. Attraverso l’arte, il potere visionario senza tempo di artisti, che attraverso il simbolo della Madre, hanno manifestato il loro legame atavico che unisce l’uomo al divino.
Testi di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati
BIBLIOGRAFIA: - Johann Wolfgang Goethe, Faust, liberliber [Progetto Manunzio], 2005. - Robert Graves, La Dea Bianca. Grammatica storica del mito poetico, Apelphi Edizioni, 2009. - Erich Neumann, La Grande Dea. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, Astrolabio Ubaldini editore, 1981.
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