«Vi sono persone che vanno in busca di ingiurie come del sostentamento; lieti se riescono a farsi dare dell’asino o del villano per affollarsi poi ai tribunali, e ricavarne danaro – sicchè vogliono vi si distingua quanto vale il titolo di bue, quanto quello di ciarlatano o di becco e lo si faccia a loro pagare».
– Cesare Lombroso
Ci sono storie ampiamente narrate, storie poco conosciute e, infine, c’è una terza categorie di storie, quella celate, le quali sottostanno alle oscillazioni del tempo e che balzano all’attenzione pubblica in momenti particolari, vuoi per una mostra, vuoi per una ricorrenza.
Una di queste storie riguarda Cesare Lombroso, padre dell’antropologia criminale e della teoria dell’atavismo, al cui lavoro è dedicata la mostra I 1000 volti di Lombroso. Il fondo fotografico dell’archivio del Museo di Antropologia criminale dell’Università di Torino presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino.
Cesare Lombroso, tra i più importanti spiritisti europei, collezionista e scienziato, fu il creatore della teoria dell’atavismo criminale, che confermò «in una grigia e fredda mattina di dicembre esaminando il cranio di Giuseppe Vilella», brigante morto nel 1864 nell’Ospedale di Pavia. Quel giorno nel cranio esaminato trovò «un’enorme fossetta occipitale mediana e un’ipertrofia del vermis analoga a quella che si trova nei vertebrati inferiori. Alla luce di queste anomalie mi apparve, tutto a un tratto, come una larga pianura sotto un infiammato orizzonte, risolto il problema della natura del delinquente, che doveva riprodurre così ai nostri tempi i caratteri dell’uomo primitivo giù giù fino ai carnivori». Per Lombroso criminali si nasce, non si diventa!
Molte furono le forme di evidenza da lui utilizzate per perorare la causa, una fra tutte, i tatuaggi, copiosamente presenti sui corpi dei criminali e su quelli delle “popolazioni primitive” e fu proprio dall’unione di queste tesi, che Lombroso stilò l’identikit del delinquente atavico, ufficializzando le ricerche nel libro L’uomo delinquente (1876), la cui quinta edizione, del 1896, venne corredata da un Atlante contenente centinaia di ritratti fotografici di criminali e alienati.
La mostra ripercorre la storia controversa di Cesare Lombroso e la nascita delle sue teorie, affrontando un lungo e denso percorso che si snoda in 5 sezioni.
Nella sezione introduttiva è presente una selezione delle diverse tipologie di fotografie raccolte da Lombroso, una macchina fotografica, uno stereografo per il disegno del profilo del cranio, una maschera mortuaria in cera di un detenuto, scritti di varia natura e un ritratto a disegno.
La prima sezione è invece dedicata all’immagine del folle e alla nascita dell’antropologia criminale, ove si trovano esposti ritratti di alienati e malati psichici, manufatti di “mattoidi” (ovvero alienati con estro artistico) e il calco in gesso del cranio di Alessandro Volta per illustrare il rapporto tra creatività e nevrosi, già esplicato in Genio e Follia del 1864.
La seconda sezione è dedicata al brigantaggio, al delitto politico e alla criminalità minorile, infatti non dimentichiamo che a supporto delle sue teorie sulla devianza, Lombroso fece largo uso delle fotografie scattate ai briganti nel Sud d’Italia, per poi allargare l’interesse ai ritratti di anarchici, rivoluzionari e alla delinquenza minorile.
Altra sezione è dedicata alla donna delinquente: fotografie di crani di prostitute, immagini scattate all’interno di bordelli, ritratti di prostitute napoletane e argentine, oltre a una serie di carte de visite di delinquenti russe. Studi poi pubblicati insieme al futuro genero, Guglielmo Ferrero, nel primo trattato dedicato alla delinquenza di genere.
È difficile comprendere le teorie di Lombroso, ma è importante capire il contesto storico, socio-culturale e scientifico in cui queste sono nate e, se i meridionali e le donne, venivano demonizzati, naturalmente non potevano mancare studi dedicati anche al razzismo e all’omosessualità.
Infine, visto il largo uso che Lombroso fece della fotografia, l’ultima sezione è dedicata alla fotografia segnaletica e alla Polizia scientifica, infatti ricordiamo che nel 1886 Lombroso propose di introdurre tecniche di investigazione scientifica comprendenti l’uso della fotografia, accanto al segnalamento descrittivo, antropometrico e dattiloscopico dei delinquenti e dei presunti tali, tutti metodi che vennero accolti da Salvatore Ottolenghi.
Il 19 ottobre 1909, Cesare Lombroso muore a Torino, all’età di settantaquattro anni, donando il suo corpo alla scienza. All’epoca molti avvallarono la sua teoria dell’atavismo, successivamente confutata, come disse il prof. Giacomo Giacobini: «è la scienza, che con il suo metodo, mette continuamente in discussione le proprie teorie e i propri assunti e questo è un messaggio molto importante da trasmettere al pubblico. Fa parte di quella funzione dei musei, che in museologia scientifica noi chiamiamo educazione museale». Oggi a Torino sorge il dove sorge il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso, fondamentale per trasmettere la memoria di ciò che è stato e riflettere sul presente.
Testo di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.
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