Ernest Hemingway scriveva: «oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti gli altri giorni dipende da quello che farai tu oggi».
Questa frase, pronunciata con parole e da persone diverse, ultimamente mi è stata detta molto di frequente. E’ difficile mettere in pratica il concetto espresso in queste poche righe perché è connotato da una coraggiosa voglia di esistenza. Vuol dire afferrare la propria vita a denti stretti e farla volgere al meglio in modo cosciente e consapevole.
A me questa consapevolezza e questo coraggio molto spesso mancano, mi crogiolo nei ricordi e nei pensieri… vago, osservo, ascolto, provo a cambiare le cose ma poi basta un intoppo per tornare al mio bicchiere sempre mezzo vuoto.
Ultimamente ho deciso di prendere una pausa da tutto ciò che era la mia vita di prima, dalle mie certezze e dalle mie insicurezze. Sto cercando di affrontare il mondo “da sola” e ho deciso di farlo cambiando le carte in tavola quasi all’improvviso. Ho preso delle decisioni che stanno avendo delle conseguenze – sopratutto sul mio sonno, visto che ormai dormire è diventata un’impresa non da poco – ma ho deciso di farlo lo stesso. Non so se queste mi porteranno ad una realtà più consapevole, ma semplicemente dentro di me ho sentito che era giunto il momento, perché se si ha paura della solitudine non si avrà mai la lucidità per poter stare bene con gli altri.
Un giorno leggendo Se il sole muore di Oriana Fallaci ho ritrovato le sensazioni che stavo provando: «sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa […] Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi».
Leggendo questa frase mi sono detta: ecco un’altra persona che sa come vivere. Alcune volte mi chiedo come si possa raggiungere questa consapevolezza… Se c’e un qualche libro rivelatore di cui non sono a conoscenza, una poesia o una musica che da avvio al tuo cambiamento facendoti acquisire concretezza. Cosa fa dire “eccomi, sono al mondo e sto bene!”?
Le domande che la Fallaci pone mi hanno spaventata perché mi sono resa conto di essere titubante, di cercare amore e di aver paura di riceverlo e ormai, alla soglia dei trent’anni, è ora di fare i conti con il mio dolore ma anche con le mie gioie e le mie insicurezze.
Oggi è il 12 febbraio 2018. Sono passati quattro anni da quel maledetto giorno e da allora sono successe così tante cose che mi sembra essere passata una vita intera.
Non so dire cosa sia cambiato effettivamente e non posso neanche dire che il dolore sia meno intenso: in alcuni giorni si sente un male lancinante che ti scuote e che non comprendi. Senti che la solitudine si impossessa di te lentamente e poi esplode all’improvviso.
Ricordo Mari quanto era meravigliosa, ricordo il suo sorriso e il suo modo di prendermi in giro. Ricordo che era bellissima e sicura di sé. Ricordo che in alcuni momenti mi faceva incavolare tantissimo, e che io facevo incavolare lei, tanto da non parlarmi per giorni interi.
Oggi scrivere è difficile, sarà la pioggia, saranno gli impegni della giornata, ma faccio fatica a pensare, o meglio, a ricordare. Allora ho preso il mio diario di quei giorni ormai lontani. Un diario che spezza il cuore, perché in quei momenti non ho avuto la lucidità di filtrare i miei pensieri e ho descritto minuziosamente ogni apparizione giornaliera di quel maledetto mostro sul suo corpo.
Vi risparmio questa lettura perché penso che non faccia bene a nessuno, ma ciò di cui mi stupisco è la lucidità della perdita che non ricordavo assolutamente di avere: il 14 novembre 2013 «io e Mari abbiamo fatto una bella passeggiata sul lungomare, abbiamo scherzato tanto e parlato. Lei è molto tenera. Alterna momenti di tristezza a momenti di grinta».
Il 15 novembre è stato un giorno positivo «abbiamo guardato Ritorno al futuro […] Nel pomeriggio Mari si è levata quella maledetta tuta e finalmente è tornata splendete e impeccabile come una volta. Sempre sui tacchi, sempre perfetta mentre mamma è in cucina che prepara la pizza». Durante lo stesso giorno annotavo: «non riesco a non pensare che lei non sarà lì a sostenermi quando starò male, a gioire quando sarò felice. Rimarrò senza Lei che per tutta la vita ho imitato e amato più di ogni altra cosa. Cerco di non pensarci ma non ci riesco e l’unica cosa che spero ogni notte prima di addormentarmi è che lei si svegli bella, grintosa e sorridente come pochi mesi fa». Lo scritto prosegue con note “tecniche”: «eliminare la puntura di cortisone. Introdurre deltacortene e diminuire keppra di uno (siamo a quattro). V giorno di Themodal».
Da questo scritto mi sono resa conto che dopo quattro anni non ricordo più i nomi dei medicinali, eppure li conoscevo come mamma ricorda a memoria le preghiere del suo rosario… le bisbigliavo ogni attimo e le annotavo minuziosamente sul quadernino delle medicine, con tutti i vari parametri.
…arriviamo al 9 dicembre. Era un lunedì soleggiato e la mia mente era attanagliata da mille domande: «raccontare le proprie storie di vita, le proprie gioie e i propri malanni… a cosa serve? Forse serve a qualcuno che è nella tua stessa condizione? Forse serve a dare la carica a chi sta meglio e alcune volte perde il coraggio di vivere? Forse serve solo a me. Mari deve fare la risonanza e al momento è dentro. Lei è sempre più confusa. Il glioblastoma è una bestia nera, io cerco informazioni su cosa accadrà. Mi sembra di non darle nessun aiuto. Parlo con le persone che hanno il suo stesso male: la signora che ho incontrato oggi ha 65 anni e anche lei ha un tumore al cervello. Prende soldesam, keppra, etc. ma i dosaggi sono minori, molto più bassi rispetto a quelli di Mari […] Rimane la speranza di un risultato positivo… Ma so che non sarà così… Ho paura delle posate che cadono dalle sue mani e dei bicchieri versati».
Direi che posso conclude qui con i ricordi e torniamo al presente e alla bellissima scoperta che mi ha fatto fare Vittoria proprio in questi giorni: il Questionario di Proust – un test molto interessante per cercare di comprendere qualcosina in più della propria persona. Una delle domande è:
Qual è il dono di natura che vorrebbe avere?
Non so bene quale sia la mia risposta definitiva ma il mio primo pensiero è stato “poter tornare indietro nel tempo”, riabbracciare Mari e vivere nuovamente quell’ultima passeggiata insieme sul lungomare di Gioiosa, perché ora sono consapevole del fatto che sarebbe stata la nostra ultima camminata insieme. Una passeggiata di cui ricordo ogni attimo, le foto fatte quel giorno, i manifesti strappati del circo vicino al vecchio passaggio a livello, la lumaca in fondo al lungomare, l’asfalto bagnato e lei che mi dice: «Cla andiamo a casa, sono stanca». Siamo state bene. Eravamo semplicemente io e lei.
Sò che “l’essere felice a piene mani” mi è stato strappato quel giorno, sono consapevole di questo, ma credo anche che in questa vita ci possa essere altro. Tempo fa ho osservato le stelle: si osservano ogni sera, ma non le ricordavo così belle e splendenti, forse perché era da tanto tempo che non mi prendevo un attimo per stare immersa nel buio di una montagna ad osservare il cielo. Ciò che ho capito quella sera è che posso ancora sorprendermi. Osservare delle semplici stelle e scoprire che brillano e palpitano come mille cuori, ognuna diversa dall’altra, qualcuna in modo più flebile, altre in modo più intenso.
Il mio sogno di felicità?
Potrebbero essere delle stelle, potrebbe essere un abbraccio, potrebbe essere un sorriso sulla porta, un aperitivo con le amiche, delle olive mangiate con Mattia a Milano, mille risate con Vitto e Mauri in galleria per figuracce colossali, un medico gentile di cui ti fidi che ti da una buona notizia e ti dimentichi di pagare perché vivi sulle nuvole, oppure potrebbero essere tutte queste cose insieme. Forse il mio sogno di felicità potrebbe consistere nel trovare il coraggio, che gli altri dicono di vedere in me, ma che io non riesco a scorgere; forse il sogno consiste nel credere che la “felicità” possa realmente esistere e che questa non si manifesti sorridendo, ma credere che prima o poi potrai rifarlo senza avere paura.
***
Questionario di Proust:
Qual è, per lei, la più grande disgrazia?
Dove le piacerebbe vivere?
Qual è il suo ideale di felicità sulla terra?
Quali colpe le ispirino maggiore indulgenza?
Chi sono i suoi registi preferiti?
Chi sono i suoi pittori preferiti?
Chi sono i suoi compositori preferiti?
Che qualità apprezza in un uomo?
Che qualità apprezza in una donna?
Quali sport pratica?
Sarebbe capace di uccidere qualcuno?
Qual è la sua occupazione preferita?
Chi le sarebbe piaciuto essere?
Qual è il tratto principale del suo carattere?
Cosa apprezza di più negli amici?
Qual è il suo difetto principale?
Qual è la prima cosa che l’attrae in una donna?
Qual è il suo colore preferito?
Qual è il suo fiore preferito?
Chi sono i suoi autori preferiti in prosa?
Chi sono i suoi poeti preferiti?
Chi sono i suoi eroi nella vita reale?
Quali sono i suoi nomi preferiti?
Cosa detesta più di tutto?
Qual è il dono di natura che vorrebbe avere?
Crede all’immortalità dell’anima?
Come vorrebbe morire?
Qual è lo stato attuale del suo animo?
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