Nel mio armadio c’e uno scrigno di inestimabile valore al cui interno non sono conservati gioielli e oggetti preziosi ma semplicemente i mie segreti: diari di una vita, quaderni su cui scrivevo i messaggi ricevuti, fotografie, regali e pensieri che nel tempo mi sono stati donati e che per qualche ragione ho deciso di custodire.
Appena si apre la scatola ciò che si sente è un odore di carta invecchiata e sgualcita come un abito tirato fuori dall’armadio dopo tanto tempo. Fogli che ora si presentano ingialliti e strappati, l’adesivo diventato ormai giallo si sgretola al semplice tocco della mano come fosse un sottile strato di caramello mentre la colla è penetrata all’interno delle fibre della carta lasciando segni che un restauratore non riuscirebbe a far sparire neanche con la più minuziosa delle tecniche di pulitura.
Tracce superficiali di un passato penetrante che sono lì a testimoniare la storia di una vita sepolta sotto strati di borse e cinture. Pagine e pagine scritte con penne coloratissime che un tempo emanavano un odore dolce e zuccheroso come quella penna multicolore, scomodissima per scrivere ma divertentissima da usare.
Nel mio scrigno tutto è rimasto così come lo avevo conservato: ci sono lettere inviatemi dagli amici, quelle tragicamente shekspiriane dei primi fidanzati, palloncini a forma di cuore, portachiavi, mozziconi di sigaretta, della sabbia nera, fiori, frammenti di gesso, pietre colorate e una stella marina.
Un’immensa ricchezza conservata dentro semplici scatole di cartone e di latta, proprio come quelle che Christian Boltanski usa nelle sue installazioni, ed è proprio pensando a lui che mi sorge un dubbio: il mio conservare scrupolosamente la vita in una scatola è solo un modo per proteggerla o forse è la voglia di congelare il tempo passato? Si può fermare il tempo? Ed è giusto farlo?
Alberto Giacometti nel lontano 1934 ha realizzato una scultura, che in un certo senso racchiude tutti questi miei dubbi, s’intitola Oggetto Invisibile e raffigura una donna con le mani davanti al petto intenta a stringere un oggetto non è visibile. La donna pensa di possederlo ma in realtà «è un’eterna ricerca» di un desiderio che non può essere soddisfatto mai pienamente perché frutto di una mancanza e di un ricordo lontano.
Volente o nolente questi scrigni dei ricordi, scricchiolanti e arrugginiti, nel momento della loro riscoperta, aprono a mondi lontani, oggetti che soli ricordano le tue indicibili verità, i tuoi dubbi, le tue paure, le tue gioie e le tue sconfitte.
L’altro giorno sistemando il mio armadio, tutto ciò è riemerso improvvisamente e allora mi sono seduta per terra e ho iniziato a sfogliare quelle pagine lacere e a ricordare tanti piccoli momenti di una vita che sembra lontanissima.
Non ricordo bene dove ho letto questa frase di Dostoevskij ma penso che la potenza del ricordo non sia stata meglio espressa: «sappiate, dunque, che non c’è nulla di più elevato, di più forte, di più sano e di più utile nella vita che un bel ricordo, specialmente se è un ricordo dell’infanzia… Se un uomo riesce a raccogliere molti di questi ricordi per portarli con sè nella vita, egli è salvo per sempre».
La vita ti trasforma, ti fortifica, ti annienta e ti salva; una giostra in continuo movimento che a tratti ti fa gioire e a tratti ti fa disperare e che con lo scorrere del tempo porta a dimenticare quei dettagli secondari che pensi non abbiano nessun rilievo e che invece se letti attentamente si dimostrano essere rivelatori per comprendere il tutto; un pò come fa Daniel Arasse che da una piccola mosca sul quadro del Crivelli apre la mente a interpretazioni inaspettate e moraleggianti, tutto questo partendo da un semplice e strana mosca rappresentata su un quadro.
Probabilmente è proprio questa la ragione dell’esistenza della scatola dei segreti: ricordarmi quei piccoli dettagli del passato che a distanza di anni si dimostrano essere fondamentali per capire il presente, il particolare che manifesta le ragioni del tutto.
Sfogliando le pagine del diario leggo di una Claudia che scriveva tre pagine di “ti amo xxx” con la penna rosa, in stampatello e con la E senza stanghetta verticale, perché così andava di moda; il 6 novembre del 2000 aspettavo mamma «con il cornetto del Veneto al cioccolato», mentre la sera dello stesso giorno le pagine si fanno più strazianti perché il mio fidanzato mi ha lasciata e mia sorella per non farmi pensare a questo “tragico dolore” pensa bene di farmi vedere per la prima volta Dracula e io, da instancabile scribacchina, mentre guardo il film annoto «mi sta terrorizzando, non guarderò mai più un film di paura. Ho troppa paura, perché non cambia?! Evviva ha cambiato», pensieri poetici insomma.
E poi… il ricordo delle domeniche mattine passate al boschetto, le minuscole pizzette nella bustina bianca del Miramare, la morta zia Elvira, i miei continui mal di gola, le mille influenze, disquisizioni sull’utilità o meno del Grande Fratello e anche il «primo litigio con xxx per una cavolata» a cui faceva seguito la frase «lo amo perché non lo vuole capire», il tutto scritto senza punteggiatura e con una partitura della pagina che molto ricorda i poemi paroliberi marinettiani.
Il 12 novembre 2000 ricopiavo una poesia «tu mi hai dato la forza di amare, e smetto di avere rimpianti. Ci sono giorni in cui non vorrei incontrarti, tanta è la paura di piangere quando appari davanti ai miei occhi…» ed è così, messi di fronte a noi stessi, ai nostri pensieri e ai nostri dubbi proviamo gioia, ma al tempo stesso paura perché si cerca una spiegazione e un significato a quello che siamo e ai cambiamenti avvenuti in noi per poi scoprire fondamentalmente che forse l’unica cosa da fare è non aver paura.
Ancora una volta mi viene in soccorso Anais Nin quando nel suo diario scrive: «quel che fa disperare la gente è che cerca di trovare un significato universale alla vita nella sua totalità, e finisce col dire che è assurda, illogica, priva di significato. Non c’e un grande significato cosmico che abbracci tutto, c’e solo il significato che ciascuno di noi dà alla propria vita, un significato individuale, un intreccio individuale, come un romanzo individuale, un libro per ogni persona», di cui solo noi possiamo comprenderne l’importanza e la potenza.
Se qualcuno trovasse la mia scatola direbbe: “che cianfrusaglie”, ma in realtà per me quelle parole e quei piccoli oggetti di poco conto sono ragioni di vita e momenti vissuti e condivisi con altre persone che porto nel cuore e che mi hanno fatto diventare ciò che sono ora… in sostanza è ciò che affermava il caro Fedor Dostoevskij, che certo si riferiva ai ricordi che ognuno porta nel proprio cuore, ma che se traslata la frase nella mia inaspettata scoperta rende evidente l’emozione provata nell’aver ritrovato quelle parole e quei frammenti di vita, un misto di dolcezza e sorriso solitario che emerge genuinamente dal proprio cuore solo tramite il ricordo.
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Testo e fotografie ©Claudia Stritof.
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[…] ed esclusivamente personali (si pensi ad Anaïs Nin o a quelli di quando si è piccoli, il nostro scrigno dei ricordi), ma con l’avvento delle nuove tecnologie sono diventati pubblici e […]
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